Textile Exchange | la nuova Reclaimed Materia Declaration Form (RMDF)

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Lo scorso Luglio Textile Exchange ha rilasciato la nuova versione “Reclaimed Material Declaration Form” (RMDF), ovvero il modello di dichiarazione che deve essere utilizzato dal “riciclatore” – la prima Organizzazione con obbligo di certificazione nella filiera dei prodotti ottenuti da materiali riciclati – il quale, di norma, recupera rifiuti nonché alcuni sottoprodotti per trasformarli in una materia prima seconda eleggibile per la certificazione GRS/RCS e, nel prossimo futuro, “MMS – recycled & MMCF materials”.

Questa importante revisione della RMDF va nella direzione di migliorare la trasparenza rispetto all’origine e alla tipologia dei materiali recuperati e, attraverso un processo di standardizzazione e classificazione dei dati, di rendere più affidabile ed efficiente la tracciabilità di tali materiali lungo la filiera del riciclo.

Vediamo quali sono le principali novità:

1.  Principali aspetti gestionali:

  • la RMDF deve essere preparata dal riciclatore per ogni fornitore e per ogni mese di calendario in cui riceva del materiale recuperato.
  • la RMDF deve inoltre essere trasmessa all’Organismo di Certificazione (ODC) entro 31 giorni dalla fine del mese di calendario in cui abbia ricevuto il materiale recuperatoo.

2. Classificazione del fornitore di materiale recuperato. Il fornitore deve essere classificato in accordo alle seguenti tipologie che, a loro volta, si collegano alla tipologia di materiale:

  • Brand/Dettagliante, in questo caso si fa implicitamente riferimento ai (i) “prodotti finiti difettati” come anche ai (ii) “prodotti finiti invenduti” e ai (iii) “prodotti restituiti dai clienti” e non rivendibili. Questo è sicuramente un ambito molto rilevante su cui interviene il Regolamento UE 2024/1781 (Ecodesign) che introduce il divieto di distruzione dei prodotti tessili invenduti e rispetto al quale è oggi in discussione la bozza del Regolamento delegato che stabilisce deroghe o eccezioni in base alle quali la distruzione dei prodotti invenduti può essere consentita. In caso si tratta di “rifiuti post-consumo”.
  • Industria manifatturiera. Anche questa tipologia meriterebbe qualche ulteriore valutazione soprattutto in relazione sia alla normativa sulla gestione dei rifiuti che al Regolamento sull’Ecodesign. In questa sede non è possibile fare questo approfondimento, ma basti ricordare che un operatore manifatturiero che non abbia ottenuto anche l’autorizzazione per la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio dei rifiuti, non ha titolo a gestire “rifiuti” ma può trattare unicamente “sottoprodotti” ovvero gli scarti di produzione che, in considerazione del principio di prevenzione applicato alla gestione dei rifiuti, non sono da considerarsi come un rifiuto. Questo fatto ha sicure implicazioni in materia di uso del termine “riciclato”.
  • Raccoglitori e preparatori (Collectors and/or Concentrators). Rispetto a questa categoria, a mio avviso, sono necessari alcuni chiarimenti innanzitutto perché, dal punto di vista operativo, essa si sovrappone sostanzialmente l’altra categoria dei “Raccoglitori di rifiuti quali municipalizzate, soggetti pubblici e privati e organizzazioni non-profit” (Municipal/industrial/commercial/nonprofit collection). Questi ultimi operano, di norma, in base ad una specifica autorizzazione che consente loro di raccogliere e stoccare i rifiuti i quali, a loro volta, possono essere sia pre-consumo (ad esempio rifiuti di filatura o di tessitura raccolti presso gli operatori della filiera) che post-consumo. Da ciò si potrebbe desumere che, per differenza, i “Raccoglitori e preparatori” (Collectors and/or Concentrators) sarebbero quei soggetti privati privi di un’autorizzazione a gestire rifiuti e, quindi, abilitati a gestire unicamente “sottoprodotti”. Se questa interpretazione fosse corretta, non sarebbe altrettanto corretto che tra le fonti vi sia il “Waste collection network” (PR0052) assegnato alle organizzazioni autorizzate.

 

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